Capitolo
V
26
gennaio 1494
E’
notte e fuori nevica dolcemente , nella casa la luce è data dal fuoco che arde
nell’angolo riempiendo la stanza di fumo . Marco è stanco per aver lavorato
tutto il giorno ai preparativi del matrimonio del figlio Bernardino di domani .
Appoggia la schiena al muro , la testa all’indietro e si fa il segno della
croce
<<
figlio mio , aspettavo questo momento da una vita . Domani sposerai Carmelia e
continuerai la nostra discendenza . Avrai un sacco di figli che riempiranno le
tue giornate di allegria e di problemi . Siamo nati per crescere , procreare ed
andarcene , e anche nella nostra famiglia si consuma il destino degli uomini .
Non
avere mai paura e vivi la tua giornata in famiglia . Il mondo è cattivo .
Malattie sono in ogni angolo di strada , banditi si nascondono dietro ogni
siepe , i cambiamenti della natura potranno sconvolgere le tue fatiche . Lavora
, semina , raccogli e conserva per l’inverno . Non far vedere agli altri la tua
gioia , né devi mostrarti triste . Impegnati solo a concretizzare i tuoi
desideri . Abbi fede in Dio ed onora i Santi , sono i mezzi attraverso i quali
il Signore si mostra a noi mortali e ci avvicinano alla gloria celeste . La sera
insegna ai tuoi figli a scrivere , come hanno fatto i miei antenati con noi .
Capire senza richiedere l’aiuto degli altri ti salva da tante situazioni e
qualche volta dalla povertà più nera .
La
nostra famiglia è stata grande nel Regno ed molti dei suoi componenti continuano
a comandare sui popoli , traendo
benessere e potere . Noi siamo diventati poveri e dobbiamo usare braccia e
mente per sopravvivere in questo mondo difficile con la speranza di ritornare
ad essere un giorno protagonisti del nostro futuro >> .
<<
che significa che una volta eravamo potenti ? Da che sono nato ho sempre visto povertà e
fatica intorno a noi >>
<<
hai ragione , e stasera ti racconterò un poco del passato dei nostri antenati ,
così che un giorno potrai raccontarlo ai tuoi figli e far si che la memoria
della loro gloria e potenza non si perda nella nebbia del tempo .
35
anni fa era pieno inverno come adesso ed ero in paradiso perché mi nacque il
primo figlio . Si chiamava Bernardino come te ed era bello come il sole . Tua
madre lo allattava al seno e la nostra casa era piena di felicità . Tuo nonno
Nicola era l’erario del barone di allora e la nostra casa era sempre piena di
gente e di vita. Tutto procedeva bene e passavamo le nostre giornate a
controllare i nostri contadini che lavoravano e portavano ricchezza . Ad un
tratto , come colpita da una tempesta di acqua e di vento , la situazione
cambiò in breve tempo .
Tutto
incominciò il 24 febbraio del 1459, quando il tiranno che proprio ieri è morto a
Napoli si fece incoronare Re del regno a Barletta . Oggi ne posso parlare ,
perché la sua anima nera ha raggiunto l’inferno e la sua persona non può più
fare danni , ma fino ad ieri la cappa della sua tirannia ha impedito ogni
parola , ogni considerazione . Chiunque ha osato mettersi contro di lui ha fatto
una brutta fine ed è stato privato di ogni bene materiale e spesso della vita .
Quel
giorno il barone GiacomoAntonio con mio padre decise di non andare all'incoronazione del Re insieme con molti altri baroni del regno che non volevano l’aragonese , e
fu l’inizio di una catastrofe che durò per anni. Il re non perdonò l’affronto e
tolse i feudi sia a GiacomoAntonio che a molti altri .
I
ribelli si appellarono a Giovanni d’Angiò che scese a Napoli per riprendersi il
regno che era stato di suo padre .Venne anche qui a Serino con i principi di
Taranto e di Rossano nel castello del barone per preparare la strategia da
usare contro l’aragonese.
I
due eserciti si scontrarono nella piana di Sarno il 4 luglio del 60. Fu una
battaglia spaventosa , c’ero anche io , e me la ricordo come fosse ieri.
Dalla
collina guardavamo lo svolgersi dei combattimenti e dopo ore di assalti
continui , eravamo avviati ad una vittoria certa .
Marino
Marzano , duca di Sessa stava affianco a noi e dirigeva l’offensiva <<
eccolo quel bastardo del Re , sta sul fianco sinistro, seguitemi che voglio
ucciderlo con le mie mani >>
Mio
padre fece appena in tempo a dirmi di restare affianco al nostro barone , che
si lanciò all’assalto con il suo amico Giovanni, seguendo il gruppo del duca .
Li vidi mentre si avvicinavano a Ferrante , facendosi largo a colpi di spada .
Ormai erano a pochi metri da lui e sicuri di ammazzarlo , quando dal fianco
della collina dietro al castello , spuntarono centinaia di soldati che si
diressero a difesa del Re . Non riuscimmo nemmeno a capire chi erano , forse
naturali del luogo richiamati dal frastuono. Sta di fatto che ne seguì un
furioso corpo a corpo che permise al Re di mettersi in salvo e di ritornare a
Napoli . Come erano apparsi , così scomparvero quei bastardi e Giovanni d’Angiò
decise di ritirarsi e di non inseguirli non sapendo se c’erano altri nemici
nascosti pronti ad intervenire . Alla fine una vittoria certa si trasformò in
una pesante sconfitta che cambiò per sempre la mia vita . Quello stronzo di
duca , per vendicarsi di Ferrante che aveva sorpreso a letto con sua moglie ,
tra l’altro sua sorellastra , portò al massacro mio padre ed il suo amico che
rimasero uccisi , travolti dalla furia dei nuovi arrivati . Fu un dolore
tremendo che ancora oggi resiste nel mio cuore dopo tanti anni .
Il
re riuscì a riorganizzare il suo esercito , cercando compromessi con i baroni
ribelli . Lo stesso GiacomoAntonio passò dalla sua parte per paura . Il 4
giugno del 61 gli furono riconsegnati i feudi e molto denaro. Finì un periodo
di grandi ideali , persi sull'altare degli interessi personali . Mio padre
voleva aiutare un amico che a sua volta perorava la causa di un suo amico di
Volturara e sognava un regno senza crudeltà e ferocia . Morirono tutte e tre .
Il volturarese in carcere dimenticato da tutti , e gli altri due in una
battaglia che doveva cambiare il percorso della storia .
L’anno
dopo Ferrante chiuse la partita sconfiggendo Giovanni d’Angiò a Troia il 18
agosto definitivamente , riprendendosi il regno senza trovare altri oppositori
.
Deluso
dal comportamento del barone e addolorato dalla perdita di mio padre , mi
trasferii dai suoceri che mi accolsero come un figlio . Bernardino morì di
febbre improvvisa dopo tre anni e solo nel 65 mi ripresi quando nascesti tu ,
figlio mio. Non potevamo non chiamarti come il fratellino perso .
L’anno
dopo nel 66, il barone passò a miglior vita lasciando il feudo al figlio
Camillo , che essendo ancora piccolo , venne messo sotto la tutela dalla nonna
Catarina Dentice . In effetti il vero tutore era il fratello della nonna ,
Iacopo , chiamato carestia , che non aveva mai avuto buoni rapporti con il Re .
Noi
, Marra , abbiamo un grande difetto . Non sopportiamo le imposizioni , ed
abbiamo l’ardire di contrastare chi comanda , che prima o poi ce la fa sempre pagare
. E in quel tempo ormai i Marra erano diventati antipatici al Re che non
potendoli estromettere tutti dai loro feudi li penalizzò e li perseguitò senza
sosta ad uno ad uno . A Camillo , signore di Serino , tolse proprio la nostra Serino
, lasciandogli gli altri feudi . Un ridimensionamento economico non
indifferente per il piccolo barone che perse introiti molto sostanziosi , visto
che il nostro paese era prospero per le
tante ferriere , create dal nostro capostipite Nicola , e per la vastità dei
boschi che porta legno a Napoli per costruire navi da guerra .
A
dire il vero la nonna del barone mi fece cercare per portarmi a Volturara che
era ancora feudo loro , ma sapevo che le autorità del luogo odiavano la nostra
famiglia per le idee di mio padre contro il Re , e non mi feci mai trovare. Da
allora ho vissuto onestamente lavorando con i miei cognati fino a questo giorno
che resterà nella mia memoria per sempre sia per il tuo matrimonio che per la
morte del feroce sovrano che tanti lutti ha portato tra di noi .
A
Volturara non ci sono mai più andato , anche perché le montagne che ci separano
sono un confine inaccessibile e bisogna pagare una tassa per entrare in paese ,
non facendo parte del nostro feudo .
Qui
, a Serino , i nuovi padroni non ci conoscono e ci lasciano in pace , senza
darci alcun fastidio .
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