domenica 12 febbraio 2012
dal CORRIERE DELL'IRPINIA DI IERI
Ci fu un tempo in cui l’essere sindaco era motivo di
grande orgoglio e di vero riferimento per le comunità
amministrate. Era il tempo in cui l’essere
primo cittadino si coniugava con lo spirito di sacrificio.
Il sindaco era l’autorità, colui al quale il cittadino si rivolgeva
per ogni necessità. Quello era il tempo in cui i
cittadini pregavano uno di loro a rappresentarli nelle Istituzioni.
La nostra storia abbonda di figure che hanno onorato
il loro mandato.
Una prova parallela si ebbe nei giorni del terremoto
dell’80, quando il vincolo della solidarietà, il comune interesse,
il sapersi porre di fronte ad una immane tragedia,
produsse il miracolo della resurrezione. Allora ci fu
una grande mobilitazione dei sindaci. Furono i primi a
scendere in campo, a rimboccarsi le maniche, a recuperare
una pala e un piccone per ritrovare i corpi dei loro
cari. Le storie scritte negli anni a seguire sono ricche
di esempi di primi cittadini che, quando non furono sepolti
dalla macerie, si dettero un gran da fare, anche
con atti di autentico eroismo.
Gran parte di quel miracolo, come molti fatti hanno dimostrato,
si può ascrivere proprio a merito dei primi cittadini,
alcuni dei quali vengono ricordati nei libri che ormai
storicizzano quel terribile evento che ebbe inizio con
quella malanotte del 23 novembre di trentadue anni fa.
Poi il tempo è passato, il senso civico quasi si è esaurito
, sono mutate le abitudini e l’illusione del potere ha
trascinato anche i sindaci nel vortice della fatuità.
Non è solo questo, ovviamente. I guasti sono anche il
frutto di una violenta crisi economica che ha gettato sul
lastrico molte amministrazioni comunali, sorvegliate a
vista dal patto di stabilità.
Una prima testimonianza di un ruolo profondamente
mutato, anche nei rapporti umani, si è avuto durante la
crisi della raccolta dei rifiuti. E’ proprio in questa occasione
che i sindaci sono stati costretti a pagare un prezzo
altissimo, sborsando somme notevoli e riducendo i
servizi ai cittadini: si sono chiusi asili, l’assistenza sul territorio
è stata ridotta al lumicino, e così via. In questa emergenza,
ogni sindaco ha agito di testa propria senza
affrontare il problema con un minimo di solidarietà.
Così nella divisione degli utenti, la camorra ha avuto gioco
facile per infiltrarsi.
Oggi siamo tutti presi dal fronteggiare questa abbondante
nevicata che sta provocando non pochi danni e tanti disagi.
Si dice che la neve ha colto d’improvviso gli amministratorti
comunali. E’ così, non v’è dubbio. Almeno
per la notevole dimensione del fenomeno.
Eppure alle bufere di neve dovremmo essere preparati
visto che la nostra tradizione è di montanari. Non siamo
a Roma. Non c’è inverno che non passa senza almeno
una spolverata di neve.
Invece, ogni volta è la stessa storia. Prima di recuperare
il tempo della sorpresa ne passa. Le lezioni del passato
non sono servite. Per nulla.
Molti sindaci non hanno saputo fare altro che lamentarsi,
trasferendo il problema ad altre istituzioni. Certo, non
sempre è stato così. Abbiamo visto in questi giorni anche
tanti amministratori comunali guidare i trattori, spalare
la neve, rendersi protagonisti nel salvataggio di persone
bisognose. A questi va data tutta la nostra solidarietà.
Non così per coloro che ancora oggi nei loro comuni
non sono stati in grado di ripulire le strade, di rimuovere
le montagne di neve che si sono accumulate. Questi
sono i sindaci con il pennacchio che credono di essere
utili alla comunità solo perchè gestiscono il potere. Anzi
gli stracci di un potere che si illudono di avere.
grande orgoglio e di vero riferimento per le comunità
amministrate. Era il tempo in cui l’essere
primo cittadino si coniugava con lo spirito di sacrificio.
Il sindaco era l’autorità, colui al quale il cittadino si rivolgeva
per ogni necessità. Quello era il tempo in cui i
cittadini pregavano uno di loro a rappresentarli nelle Istituzioni.
La nostra storia abbonda di figure che hanno onorato
il loro mandato.
Una prova parallela si ebbe nei giorni del terremoto
dell’80, quando il vincolo della solidarietà, il comune interesse,
il sapersi porre di fronte ad una immane tragedia,
produsse il miracolo della resurrezione. Allora ci fu
una grande mobilitazione dei sindaci. Furono i primi a
scendere in campo, a rimboccarsi le maniche, a recuperare
una pala e un piccone per ritrovare i corpi dei loro
cari. Le storie scritte negli anni a seguire sono ricche
di esempi di primi cittadini che, quando non furono sepolti
dalla macerie, si dettero un gran da fare, anche
con atti di autentico eroismo.
Gran parte di quel miracolo, come molti fatti hanno dimostrato,
si può ascrivere proprio a merito dei primi cittadini,
alcuni dei quali vengono ricordati nei libri che ormai
storicizzano quel terribile evento che ebbe inizio con
quella malanotte del 23 novembre di trentadue anni fa.
Poi il tempo è passato, il senso civico quasi si è esaurito
, sono mutate le abitudini e l’illusione del potere ha
trascinato anche i sindaci nel vortice della fatuità.
Non è solo questo, ovviamente. I guasti sono anche il
frutto di una violenta crisi economica che ha gettato sul
lastrico molte amministrazioni comunali, sorvegliate a
vista dal patto di stabilità.
Una prima testimonianza di un ruolo profondamente
mutato, anche nei rapporti umani, si è avuto durante la
crisi della raccolta dei rifiuti. E’ proprio in questa occasione
che i sindaci sono stati costretti a pagare un prezzo
altissimo, sborsando somme notevoli e riducendo i
servizi ai cittadini: si sono chiusi asili, l’assistenza sul territorio
è stata ridotta al lumicino, e così via. In questa emergenza,
ogni sindaco ha agito di testa propria senza
affrontare il problema con un minimo di solidarietà.
Così nella divisione degli utenti, la camorra ha avuto gioco
facile per infiltrarsi.
Oggi siamo tutti presi dal fronteggiare questa abbondante
nevicata che sta provocando non pochi danni e tanti disagi.
Si dice che la neve ha colto d’improvviso gli amministratorti
comunali. E’ così, non v’è dubbio. Almeno
per la notevole dimensione del fenomeno.
Eppure alle bufere di neve dovremmo essere preparati
visto che la nostra tradizione è di montanari. Non siamo
a Roma. Non c’è inverno che non passa senza almeno
una spolverata di neve.
Invece, ogni volta è la stessa storia. Prima di recuperare
il tempo della sorpresa ne passa. Le lezioni del passato
non sono servite. Per nulla.
Molti sindaci non hanno saputo fare altro che lamentarsi,
trasferendo il problema ad altre istituzioni. Certo, non
sempre è stato così. Abbiamo visto in questi giorni anche
tanti amministratori comunali guidare i trattori, spalare
la neve, rendersi protagonisti nel salvataggio di persone
bisognose. A questi va data tutta la nostra solidarietà.
Non così per coloro che ancora oggi nei loro comuni
non sono stati in grado di ripulire le strade, di rimuovere
le montagne di neve che si sono accumulate. Questi
sono i sindaci con il pennacchio che credono di essere
utili alla comunità solo perchè gestiscono il potere. Anzi
gli stracci di un potere che si illudono di avere.
dal CORRIERE DELL'IRPINIA DI OGGI
Dove siamo e chi ora ci rappresenta
12/02/2012
Non per ripeterci, come accade ormai da tempo. E non per nostra responsabilità. Ma quest’ultima ondata di neve ci ha aiutato a meglio capire dove siamo e da chi siamo rappresentati. E però, senza il solito lamento, dobbiamo tentare di uscire da uno stato di impotenza che, solo in parte, può essere addebitato alle genti d’Irpinia.
Dove siamo? L’Irpinia era un tempo terra di classe dirigente. Sandro Pertini ci invidiava, e per sminuire il valore assoluto degli uomini irpini, soleva affermare, dialogando con l’avellinese Maccanico, che la spiegazione di tanto esclusivo talento era da ricercarsi in una colonia di liguri trapiantata da queste parti. Ora, quella classe dirigente si è dissolta: per rottura di un patto di solidarietà, per gelosia, per calcolo meschino, per incapacità a guardare oltre il proprio naso. Così mentre per un lungo periodo siamo stati sotto i riflettori della politica nazionale, dirigendo e orientandola, d’un tratto tutto è crollato con un tonfo disastroso.
Oggi siamo in una landa disperata. Con un paese che ha dimenticato uomini e storie e una Regione che, culturalmente, ha subito una retrocessione scandalosa nella politica del riequilibrio territoriale.
Le zone interne? Solo un fastidio. Acqua, sanità, distretti industriali, lavoro, ecc. non abitano più qui. Resiste, invece, immutabile, l’emigrazione, quella solitudine che costringe migliaia di giovani, laureati, a scappare, spesso maledicendo la terra che gli ha dato i natali. No, non è un modo questo per commiserarci, è la tremenda realtà che suscita indignazione non raccolta da chi dovrebbe avere l’orgoglio di battersi per il bene comune e non per rincorrere potere personale. E siamo al secondo interrogativo: chi ci rappresenta?
L’illusione è che siano gli attuali gestori della cosa pubblica ad esercitare il governo: membri della giunta di Santa Lucia, consiglieri regionali, sindaci, presidente della Provincia, presidenti degli enti di servizio e così via. In realtà sono tutti questi sono poco più che comparse. Sono, invece, obbedienti ai potenti che smessi gli abiti della intelligente e coraggiosa classe dirigente, continuano a mantenere le fila del potere in Irpinia. Gli eletti, o nominati, sono la radice del male di una Provincia che ha perso la voglia di lottare per una politica autonoma che non deve avere più riferimenti imbalsamatori. Diciamo la verità: se questo accade non è per responsabilità di chi è stato, ma di chi è
e si sente prigioniero di un sistema che non ha saputo debellare. Meglio: non ha voluto perchè non poteva. Liberi si nasce e con il dialogo è possibile cambiare. Ma quando si è servi, protesi alla cieca obbedienza si è come don Abbondio: il coraggio, se uno non lo ha, non se lo può dare.
Aspettando tempi migliori.
12/02/2012
Non per ripeterci, come accade ormai da tempo. E non per nostra responsabilità. Ma quest’ultima ondata di neve ci ha aiutato a meglio capire dove siamo e da chi siamo rappresentati. E però, senza il solito lamento, dobbiamo tentare di uscire da uno stato di impotenza che, solo in parte, può essere addebitato alle genti d’Irpinia.
Dove siamo? L’Irpinia era un tempo terra di classe dirigente. Sandro Pertini ci invidiava, e per sminuire il valore assoluto degli uomini irpini, soleva affermare, dialogando con l’avellinese Maccanico, che la spiegazione di tanto esclusivo talento era da ricercarsi in una colonia di liguri trapiantata da queste parti. Ora, quella classe dirigente si è dissolta: per rottura di un patto di solidarietà, per gelosia, per calcolo meschino, per incapacità a guardare oltre il proprio naso. Così mentre per un lungo periodo siamo stati sotto i riflettori della politica nazionale, dirigendo e orientandola, d’un tratto tutto è crollato con un tonfo disastroso.
Oggi siamo in una landa disperata. Con un paese che ha dimenticato uomini e storie e una Regione che, culturalmente, ha subito una retrocessione scandalosa nella politica del riequilibrio territoriale.
Le zone interne? Solo un fastidio. Acqua, sanità, distretti industriali, lavoro, ecc. non abitano più qui. Resiste, invece, immutabile, l’emigrazione, quella solitudine che costringe migliaia di giovani, laureati, a scappare, spesso maledicendo la terra che gli ha dato i natali. No, non è un modo questo per commiserarci, è la tremenda realtà che suscita indignazione non raccolta da chi dovrebbe avere l’orgoglio di battersi per il bene comune e non per rincorrere potere personale. E siamo al secondo interrogativo: chi ci rappresenta?
L’illusione è che siano gli attuali gestori della cosa pubblica ad esercitare il governo: membri della giunta di Santa Lucia, consiglieri regionali, sindaci, presidente della Provincia, presidenti degli enti di servizio e così via. In realtà sono tutti questi sono poco più che comparse. Sono, invece, obbedienti ai potenti che smessi gli abiti della intelligente e coraggiosa classe dirigente, continuano a mantenere le fila del potere in Irpinia. Gli eletti, o nominati, sono la radice del male di una Provincia che ha perso la voglia di lottare per una politica autonoma che non deve avere più riferimenti imbalsamatori. Diciamo la verità: se questo accade non è per responsabilità di chi è stato, ma di chi è
e si sente prigioniero di un sistema che non ha saputo debellare. Meglio: non ha voluto perchè non poteva. Liberi si nasce e con il dialogo è possibile cambiare. Ma quando si è servi, protesi alla cieca obbedienza si è come don Abbondio: il coraggio, se uno non lo ha, non se lo può dare.
Aspettando tempi migliori.
sabato 11 febbraio 2012
Ma che gente è questa !C'è un anziano in piena campagna bloccato da 8 giorni . Vado a trovarlo e chiedo alle prime due pale meccaniche che arrivano di liberare la neve davanti alla casa per permettergli di uscire con la macchina . Uno mi dice che deve fare la via che sta facendo e non può distrarsi , l'altro che se pulisce davanti alla casa rischia di non poter più uscire . Se ne vanno ! eppure siamo in aperta campagna con una casa isolata ed asfaltata davanti . Vogliono farmi odiare Volturara , ma non ci riescono , forse sono solo non all'altezza . Se pensavano che volessi un favore personale , si sbagliano due volte . Prima non hanno capito che c'era solo una persona che poteva avere bisogno . Secondo il terzo mondo sono loro con la loro grettezza . La mia Volturara è un'altra cosa .
C'è un anziano in piena campagna bloccato da 8 giorni . Vado a trovarlo e
chiedo alle prime due pale meccaniche che arrivano di liberare la neve
davanti alla casa per permettergli di uscire con la macchina . Uno mi
dice che deve fare la via che sta facendo e non può distrarsi , l'altro
che se pulisce davanti alla casa rischia di non poter più uscire . Se ne
vanno ! eppure siamo in aperta campagna con una casa isolata ed
asfaltata davanti . Vogliono farmi odiare Volturara , ma non ci riescono
, forse sono solo non all'altezza . Se pensavano che volessi un favore
personale , si sbagliano due volte . Prima non hanno capito che c'era
solo una persona che poteva avere bisogno . Secondo il terzo mondo sono
loro con la loro grettezza . La mia Volturara è un'altra cosa .
mercoledì 8 febbraio 2012
Socialista è libertà , lettera a me stesso .
Ne ho viste tante , ma quella di chi ha spento la luce ed è scappato ,non riesco proprio a capirla . Già era piccolo , adesso è proprio un nanetto pieno di furbizia e di cattiveria , di quelli che ne ho visto tanti , e mi meraviglio sempre nonostante tutto . Che possa diventare sempre più grande fino a giocare a basket , ma la mia libertà , forse piena di solitudine , non me la toglie nessuno . Essere socialista oggi , non è più essere craxiano , se ne sono andati tutti per fortuna in cerca di una nuova onda lunga che soddisfi i loro bisogni . Essere socialista è mettere l'Idea sopra la presenza del singolo , non assoggettare l'Idea alla presenza ed alla boria del singolo . Ti può seguire qualche operaio , o al massimo qialche amico , ma di socialista non ti rimane niente . Il vero triangolo è L'IDEA IL PROBLEMA E CHI LO RISOLVE . Il chi lo risolve è il mezzo con cui l'Idea affronta il problema e la risoluzione è il benessere collettivo , il miglioramento sociale , la tolleranza di ogni specie , la solidarietà senza tempo e senza ritorno , una filosofia che resta immutabile , senza condizionamenti di mode e opportunismo . Assurgono a dimenzione di valori morali che , come diceva un famoso filosofo della Foresta , sono i tasti del pianoforte della vita che suonati con trasporto e capacità creano Armonia , ma strmpellati a casaccio producono fetecchie .
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